Categorie
Articoli

Argentina: la famiglia Maldonado vuole un nuovo processo

di Andrea Cegna

Sergio Maldonado ha parlato dell’inchiesta sulla morte di suo fratello, Santiago Maldonado, e ha attaccato sia il presidente, Alberto Fernández, sia la giustizia. “Siamo andati a manifestare alla Corte Suprema affinché venga indagata come sparizione forzata la morte di mio fratello” e ha rimarcato che in un paese di diritto “dovrebbe essere già stato chiarito cosa è successo a mio fratello”. Tuttavia, ha ricordato che “a distanza di ben 4 anni continuiamo a chiedere giustizia”.

Giovedì 21 ottobre diverse tra organizzazioni e associazioni per i diritti umani hanno accompagnato i familiari di Santiago Maldonado, il giovane argentino trovato morto quattro anni fa, scomparso 78 giorni prima mentre partecipava ad un’iniziativa a sostegno di una comunità Mapuche, nella mobilitazione per pretendere che la causa sui motivi della morte del giovane avanzi. 

La manifestazione si è svolta presso la sede della Corte di Cassazione “a causa della mancanza di risposte da parte della Corte alla nostra richiesta di nominare un nuovo giudice per svolgere un’indagine che non escluda l’investigazione per sparizione forzata di Santiago”. Una mobilitazione ampia supportata da molte realtà, tra queste, l’Unione della Stampa di Buenos Aires (Sipreba), l’Internazionale Progressista, La Garganta Poderosa, il Coordinatore contro la Polizia e la Repressione Istituzionale (Correpi), e le Madri di Plaza de Mayo.

Davanti alla massima autorità giudiziaria del paese la famiglia Maldonado ha detto “”non possiamo che 78 giorni di sparizione restino impuniti, così come la morte di Santiago. Vi ringraziamo molto per la presenza oggi. Se la giustizia non funziona, dobbiamo noi costruire un modo per rivendicare collettivamente che la Magistratura agisca come dovrebbe”.

Il 1° agosto 2017, Maldonado si trovava nel luogo in cui la gendarmeria ha represso la comunità Mapuche Pu Lof a Resistencia. Il giovane tatuatore, 28 anni, era andato a sostenere la lotta dei popoli originari, che dal marzo 2015 occupano il latifondo di quasi un milione di ettari di proprietà della famiglia Benetton. 

La gendarmeria provocò gli scontri e i testimoni affermano di aver visto fuggire Santiago dai proiettili di gomma sparati dalla polizia. Per 78 giorni dentro e fuori il paese ci sono state marce, proteste, campagne twitter e una lunga lotta da parte dei suoi parenti e delle organizzazioni per i diritti umani fino a quando il suo corpo è stato trovato a poche centinaia di metri da dove venne visto per l’ultima volta in vita Santiago. In quella stessa zona, per almeno due volte, si sono svolte ricerche approfondite da parte della polizia e non fu mai rivenuto nulla potesse far pensare che Santiago fosse morto in quel posto per annegamento “aiutato dall’ipotermia” come sentenziò l’autopsia.

Sergio Maldonado nel giorno del quarto anniversario della sparizione del fratello ha affermato, durante una intervista radiofonica, “gli hanno tolto la vita e ora continuano a imbastardirlo” accusando l’ex ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich, di aver cercato di denigrare l’inchiesta con l’uso di troll sui social network.

Il giudice Gustavo Lleral chiuse il caso nel 2018 affermando che Santiago annegò in solitudine e che i gendarmi non erano responsabili dell’accaduto. La Cassazione Penale però, nel 2019, affermò che il caso necessitava di nuove indagine pur chiarendo che la sparizione forzata era da escludere.

Secondo il fratello di Santiago “dopo che il giudice Lleral ha pubblicamente affermato di non essere un giudice imparziale, è imperativo e urgente che un altro giudice svolga una vera indagine.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *