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“Aquì Acaba la Patria” intervista a Federico Mastrogiovanni

Il giornalista italiano, da anni in Messico, Federico Mastrogiovanni ha scritto un nuovo libro, il terzo della sua carriera. Si intitola “Aquì Acaba la Patria” e parla del fenomeno migratorio nel paese, soprattutto a sud del Messico, con la linea di confine con il Guatemala. Il libro è un mix tra giornalismo investigativo e riflessione interculturale che l’autore rappresenta (italiano che vive, lavora e racconta il Messico). Il libro per ora non è stato distribuito in Italia ma confidiamo che qualche editore decida di fare lo sforzo di portarlo nel nostro paese. Nel frattempo Olaamericana.info intervista Federico.

Aqui Acaba la Patria”, perchè andrebbe letto, perchè andrebbe tradotto in italiano?

Penso che il libro andrebbe letto e distribuito in Italia perché esce dai canoni dei libri di reportage giornalistici strappalacrime e solenni. È un libro divertente! Parla di frontiere, emigrazione, identità. Parla del Mediterraneo, del nostro presente e del nostro passato, attraversando il Messico. Però ha un taglio ironico. Ho usato un registro insolito che non è molto presente nella letteratura di “non finzione” in Italia. Credo che sia una proposta controcorrente su temi di grande attualità. Poi oh, la mia è un’opinione di parte, quindi va presa con le pinze. Lo dovresti consigliare te, io mica te posso dì non va pubblicato in italiano.

Quanto tempo hai lavorato al libro?

Il progetto del libro è iniziato a metà del 2018, su suggerimento di un editore messicano che mi chiedeva un libro sulle due città di frontiera più iconiche, Tijuana al nord, sulla frontiera con gli Stati Uniti, e Tapachula al sud, frontiera con il Guatemala. Poi però ho seguito il filo delle storie che inseguivo. Le ho veramente inseguite, dal Chiapas alla Corsica, per esempio, ricostruendo una storia di migrazione lunga un secolo. Oppure le storie mi hanno portato a Cuba, ad Haiti. Ho persino inseguito la storia di un rattus norvegicus arrivato dal deserto del Gobi. Quindi il lavoro giornalistico e poi di scrittura è durato due anni e mezzo, ma ho recuperato storie che ho raccolto nell’arco di 12 anni e che non avevo mai raccontato.

La tua amicizia con Paco Ignacio Taibo II ha cambiato il tuo modo di scrivere?

In realtà l’amicizia con Paco non ha influenzato il mio modo di scrivere. Però ho imparato molto dal suo modo di comunicare con un pubblico vasto nelle innumerevoli fiere del libro popolari della Brigada para leer en libertad (ti racconto questo dopo aver fatto una presentazione/performance insieme a Iazua Larios alla Feria de la Alameda). Il modo di avvicinare la gente a temi che sono importanti per tutti, ma che magari vengono spiegati in modo astruso, impersonale, elitario. Invece Paco ha una grande capacità di affabulatore, quasi da cantastorie itinerante, e una grande generosità. Credo che sia imprescindibile poter convivere con le persone, con “el pueblo”, per mettere in pratica principi politici veramente di sinistra, lontano dallo snobismo dell’intellettualità elitista insopportabile.

Ti sembra che in Messico si abbia contezza della portata del fenomeno migratorio che attraversa il paese?

Il Messico è molto vasto e diverso. Ci sono molti paesi dentro questo paese. C’è molta informazione di scarsa qualità, ci sono molti pregiudizi. È un paese classista e razzista, dove spesso si considerano i migranti centroamericani come un po’ meno umani. Però c’è un crescente interesse rispetto al tema e sento che anche un libro come il mio sta causando sorpresa perché non si è abituati ad avere un tono così dissacrante.

Il paragone che alcuni fanno ovvero “Messico Mediterraneo dell’America Latina” ti convince?

Non mi convince. Ammetto che ho fatto anche io una sorta di parallelismo di questo tipo a volte, ma è diverso. È diverso perché il Mediterraneo potrebbe somigliare al deserto, all’ultimo tratto del viaggio (ovviamente un deserto liquido più grande e pericoloso). Però il tragitto che migliaia di migranti fanno da sud a nord del Messico è molte altre cose. È un viaggio pieno di pericoli, di abusi, di rischi diversi. Tuttavia è anche una grande avventura, che può sorprendere chi vede in questo viaggio soltanto dolore e paura. È un percorso che ha caratteristiche proprie e similitudini con le storie di migrazione che conosciamo più da vicino in Italia. Direi che anche in questo il Messico non smette di sorprendere, sia in negativo, che è quello che ci aspettiamo sempre, ma anche in positivo.

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