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Un racconto uruguaiano

Di Elettrico

Sono arrivato la prima volta qui, in Uruguay, molti anni fa, circa 15. Nell’ipotetica linea temporale della mia relazione con questo paese, lo zero si collocherebbe poco dopo la prima vittoria del Frente Amplio, coalizione di centro sinistra. Ci sono tornato altre volte e alla fine, una fine che nell’ipotetica linea di cui sopra si piazza a circa 10 anni fa, ci sono rimasto. Ho visitato e poi vissuto questo paese per questioni personali mie, non lo ho “scelto” né vi sono atterrato perché ho subito il “fascino dell’America Latina”… anzi, alla domanda “ma tra tutti i posti perché proprio qui”, che l’uruguaiano ti fa automaticamente cinque secondi dopo aver scoperto che tu qui ci vivi, rispondo che “ci sono capitato”.

Mi è stato chiesto di raccontare un po’ di quello che ho visto e vedo, e vorrei farlo iniziando con lo specificare che è poco, per lo meno nel senso “quantitativo”. Per me è importante chiarire questo perché c’è una specie di aspettativa verso chi viaggia o vive in Sudamerica: ha visto cose estreme, ha viaggiato con lo zaino in spalla, ha chiacchierato con mille diversi personaggi, ha assaggiato cibi incredibili, ha ballato la samba nelle favelas, ha camminato fino in cima al Machu Picchu e ha partecipato ad assemblee e sommosse popolari a Buenos Aires… insomma, deve avere sempre un sacco di “avventure” da raccontare, fa parte un po’ del mito del continente.

Beh… purtroppo no, almeno per ora. Scordatevi le avventure, per due motivi principali: il primo è che in Uruguay “non succede mai niente ed è uno dei paesi più pacificati del Sudamerica”, come dicono qui, il secondo è che io qui vivo in maniera quasi “insipida”, se vogliamo proprio dare un aggettivo alla cosa (forse fin troppo negativo). Il mio occhio su questo paese è quello di una persona che vive e lavora a Montevideo, capitale e unica città grande dell’Uruguay, senza troppe pretese e senza fare niente di estremamente particolare. La mia visione quindi è limitata, la mia comprensione del luogo è probabilmente in alcuni casi sbagliata e in altri casi poco approfondita, ma non per questo meno vera, anzi. Del resto, qui ci vivo.

Comunque, ho detto che sono arrivato qui poco dopo la vittoria del Frente Amplio (FA per gli amici) e devo dire che sono stato fortunato: dopo la pesantissima crisi del 2002 questi tre governi di centro sinistra hanno fatto evidentemente del bene al paese, da quasi tutti i punti di vista, ma sono stati per me (e molti altri) anche 15 anni in cui non si è fatto abbastanza e durante i quali – come oserei dire quasi sempre succede – il contatto del FA con la sua base si è via via andato affievolendo, l’entusiasmo è passato, le cazzate sono state fatte mentre la destra ha scatenato l’offensiva mediatica… arrivando ad oggi, quando il FA ha perso le elezioni di ottobre, vinte dalla “coalición multicolor”, un simpatico nome per dire “tutti i partiti di destra compreso uno di un ex militare”.

Credo sia a questo punto doverosa una piccola spiegazione: l’arco politico istituzionale qui è composto da quelli che si chiamano i “partiti tradizionali”, ovvero quelli che hanno governato il paese nei circa 150 anni passati: il Partido Nacional (PN, i cui militanti sono detti “blancos”) e il Partido Colorado (PC, i cui militanti sono detti, ovviamente, “colorados”), entrambi di destra, il primo rappresenta gli interessi conservatori e “terrieri”, il secondo più una destra liberista cittadina. Nel 1971 nasce il Frente Amplio che è composto da un insieme di partiti abbastanza eterogeneo, dalla Democrazia Cristiana fino al Partito Comunista, e che potremmo considerare un sinistra socialdemocratica. Esistono altre formazioni minori sia a destra che a sinistra, ma in generale i voti confluiscono in questi tre grandi partiti, (tralasciando le ultime elezioni in cui ha fatto la comparsa un partito “filomilitare” fondato da un ex comandante delle FFAA che ha raccolto un numero importante di voti).

Comunque non voglio fare una digressione troppo grande: se siete curiosi in rete ci sono moltissime risorse, molto più autorevoli di me fra l’altro… anche se una cosa ci tengo a precisarla: quando si parla di centro sinistra dovete immaginarvi qualcosa più a sinistra della roba a cui siamo stati abituati in Italia. Attualmente per me i partiti di “sinistra” italiani corrispondono molto di più al Partito Colorado, spesso superandolo a destra.

Perché questa manfrina sui partiti? Perché una delle cose che mi ha colpito quando sono arrivato qui è stato il livello di partecipazione politica delle persone, la loro militanza, l’includere la politica nella loro vita e nella loro cultura (le “murghe” uruguaiane e il carnevale in generale ne sono un esempio lampante), la consapevolezza diffusa di alcuni valori che considerano fondanti della loro società, come per esempio la netta separazione di stato e chiesa e la conseguente totale laicità di tutte le istituzioni. Certo, come ho detto prima in questi anni in qualche maniera ho visto pian piano scemare il coinvolgimento, ma rimane comunque molto alto. Tanto per fare un esempio Montevideo è una città che non arriva al milione e mezzo di abitanti in totale, e nonostante ciò non sono rare manifestazioni da centinaia di migliaia di persone e, in occasioni importanti, i cortei sono un fiume in grado di riempire il centro per ore.

Tanto per dire, una delle ultime a cui sono stato, ad ottobre del 2019, era una manifestazione contro una proposta di riforma costituzionale chiamata “vivir sin miedo”, la quale proponeva affrontare l’”emergenza delinquenza” (eh sì, è il leitmotiv di tutte le campagne delle destre) abilitando perquisizioni domiciliari notturne, mettendo militari per strada a garantire la sicurezza interna e altre amenità simili.

La manifestazione ha avuto una partecipazione grandissima, centinaia di migliaia di persone appunto, da famiglie composte da tre generazioni a gruppi di tifosi del Peñarol (squadra di calcio molto importante che prende il nome dalla città di Pinerolo, vicino a Torino), dai collettivi alle maestre elementari con la loro tunica.

Questo coinvolgimento permea la società molto di più di quanto io abbia mai visto in Italia, così come la militanza sindacale, così come la partecipazione ad eventi simbolicamente carichi di significato, ed è abbastanza trasversale.

Credo che uno degli esempi più importante sia la “marcha del silencio”, una manifestazione che dal 1996 si svolge ogni 20 maggio, organizzata dall’associazione “madri e familiari dei detenuti desaparecidos”, la cui convocatoria si riassume nelle parole “verdad, justicia, memoria y nunca más” (verità, memoria, giustizia e [che non accada] mai più).

La manifestazione si svolge nel più completo silenzio, si apre con i familiari dei desaparecidos che reggono cartelli con le foto dei loro cari assenti, mentre ne vengono scanditi i nomi lungo il percorso.

È una tra le cose più emotivamente forti alle quali io abbia partecipato e da quando sono qui ci vado tutti gli anni, anzi, ci andiamo, con tutta la famiglia, per verdad, memoria, justicia y nunca más.

Quest’anno è stato il primo, per me, senza marcha del silencio: a causa del Covid-19 gli organizzatori hanno deciso di non farla. Però proprio per il suo significato, la sua assenza è stata anche la sua forza, l’impossibilità a partecipare è stato lo sprone a partecipare comunque: ci sono state una miriade di iniziative, portate avanti da organizzazioni di vario tipo e da singole persone, che hanno costellato il paese tutta la settimana del 20 maggio. Dalla proiezione delle foto dei desaparecidos sulla facciata dell’edificio che ospita il “centro militar” (“simpatica associazione” che non perde occasione per giustificare torturatori) alla simbolica piantata di margherite di carta senza un petalo (simbolo dell’associazione madri e familiari dei desaparecidos) in tutta la città, dagli enormi banner sugli edifici ai cartelli appesi alle finestre, dai murales alle decine e decine di iniziative online, ognuno ha partecipato a modo suo dimostrando una coscienza che va al di là di scendere in piazza un giorno all’anno.

Insomma, quest’anno in cui è stato impossibile scendere in strada a manifestare, in cui ha assunto da poco un governo di destra che ha già dimostrato quel che è negando la possibilità di un messaggio a reti unificate all’associazione madri e familiari dei desaparecidos, gli uruguaiani hanno saputo ripetere in mille maniere “verdad y justicia” e lo hanno fatto sentire lo stesso.

Nel breve tragitto che mi separa dal lavoro a casa, poco meno di quattro kilometri, ho potuto contare almeno venti cartelli A4 appesi alle finestre con foto dei desaparecidos (poi ho perso il conto), lenzuola con il logo della marcha, scritte “presente” improvvisate…

…e mi è piaciuto.

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